Quando calarono anche in Abruzzo i Visigoti di Alarico, e furono rasi al suolo vichi, paghi e città che avevano nutrito le attività tardoromane, iniziò proprio allora il lavorio dei cristiani per rialzare i muri abbattuti e sostituire ai simulacri dei « falsi dèi » le immagini della nuova religione, per rendere evidente la sovrapposizione del nuovo all’antico, in modo che l’antico fosse quasi schiacciato ed oppresso dal nuovo, ed il mutamento interiore, trasparisse anche nell’opera architettonica. Così, decine e decine di chiese paleocristiane e di conventi benedettini non fecero altro che riutilizzare le costruzioni e le fondamenta di edifici romani.
Un caso molto evidente a Sant’Omero è quello della chiesetta di San Michele Arcangelo in località Sant’Angelo Abbamano. Essa è situata sulla cima di un colle nell’agro di Sant’Omero, ed è quasi posata – nelle sue semplici strutture romaniche, senza fondamenta – su massicce costruzioni romane, forse di un bagno pubblico, forse di una cisterna o di altro edificio. Infatti nei pressi della chiesa vi era la probabile presenza di una sorgente di acque sulfuree, oggi forse prosciugata (questa località in passato era denominata SANT’ANGELUM AD PUTEUM, forse proprio per l’odore dell’acqua).
Il fianco destro della chiesa è uno spaccato esemplare tanto per l’architetto quanto per lo storico: al di sopra di uno spesso basamento in opus incertum di fabbrica romana, ancora affiorante per circa un metro dal suolo erboso, è molto evidente uno strato di ghiaia minuta sul quale fu tessellato per alcuni metri un mosaico di piccole tessere chiare, che costituiva il pavimento dell’edificio superiore alla cisterna (un possibile bagno termale). Proprio sul mosaico è fondata la base del muro della chiesetta, che in alto è di mattoni, rinforzati.
Sull’ingresso della chiesa inoltre, volto ad occidente, il gradino della soglia non è altro che un frammento di epigrafe il quale reca incise – in eleganti e grandi caratteri imperiali – le seguenti cinque lettere: …BIVS A…, ovviamente non interpretabili, e non si sa bene se riferibili alla costruzione su cui insiste il tempietto di Sant’Angelo Abbamano; attorno al quale, poi, è un banco di arenaria che ha restituito scheletri di animali ed ossa umane.
Fino al 1977, dentro la chiesa,ormai spogliata di arredi, era custodita ancora, e non si sa proprio come abbia miracolosamente resistito alle scorribande dei predoni dissacratori, una Madonnina lignea gotica, ora custodita nel Museo Nazionale d’Abruzzo di L’Aquila. La scultura rappresenta la Madonna seduta su uno scanno in posizione frontale mentre sorregge con il braccio sinistro il Bambino in piedi. Gesù, vestito con una tunica fermata ai fianchi da un drappo, tiene una piccola sfera nella mano sinistra. La Vergine velata indossa una tunica coperta da un manto stellato. L’opera è attribuita al maestro della Santa Caterina Gualino, un ignoto artista di ascendenza umbra.
Le leggende ed i racconti relativi a questo piccolo tempio che domina le valli della Vibrata e del Salinello fino all’Adriatico sono suggestivi, e parlano anch’essi di un telaio d’oro, di una chioccia coi pulcini d’oro, appetiti più volte da gente senza scrupoli. Si narra che una volta vennero da Sant’Omero tre malintenzionati, i quali incominciarono a scavare un po’ fuori della chiesa; ed ecco una tempesta e grandine così grossa che un contadino che abitava nelle vicinanze imbracciò il fucile perché quelli smettessero. Manco a dirlo, la bufera subito cessò.
Ma altre singolari testimonianze aggiungono fascino ed importanza alla scoperta di Sant’Angelo Abbamano. Difatti proprio sotto quel colle, lungo l’antichissima strada romana denominata «Metella vecchia », in contrada Vallorina fu dissepolta nell’altro secolo una pietra miliare che fungeva da « guanciale » in una tomba bimillenaria. Quando fu rinvenuta, infatti, la base della colonna poggiava sul cranio di uno scheletro umano e assieme vi erano numerosi frammenti di corredo funerario. Il miliario é un tronco di cono alto cm 63 col diametro inferiore di cm 58, superiore cm 49 e con la base quadrangolare. L’iscrizione CXIX presente sul miliario, stava ad indicare la distanza in miglia tra Roma e Vallorino (119 miglia). Questa via veniva molto usata dai romani per condurre gli eserciti nel Pretuzio e nel Piceno ascolano, ma sicuramente veniva molto usata anche dagli abitanti di questa vallata che si recavano a Roma.